mercoledì 27 febbraio 2008

ANALISI STORICA DELLA KOSOVA/ 2 parte

3-IL DOMINIO SERBO TRA LE DUE GUERRE
Nel 1918, terminate le guerre di conquista, viene proclamato il regno jugoslavo, che a sud vede una Serbia ampliata fino a coprire l'inter Kosova e l'intera Macedonia. Nonostate la firma di accordi internazionali per la protezione dei diritti delle minoranze, la Jugoslavia non rispetterà mai tali impegni. Nessuna scuola in albanese verrà mai aperta nei più di venti anni di dominio serbo e la regione verrà tenuta volutamente in uno stato di degrado sociale e culturale, instaurando inoltre un regime di capillare controllo poliziesco. Per il regime di Belgrado gli albanesi non hanno un'identità propria e sono solo serbi che hanno perso la loro memoria storica. Nel 1913, l'ex primo ministro serbo Djordjevic aveva addirittura scritto un opuscolo nel quale sosteneva in tutta serietà che fino a pochi decenni prima gli albanesi avessero ancora la coda.
Un altro importante personaggio, il prof. Vasa Cubrilovic, ha redatto nel 1937 per il governo jugoslavo un piano di espulsione in massa e con mezzi violenti degli albanesi dalla Kosova, affermando che "nel momento in cui la Germania può espellere decine di migliaia di ebreià la deportazione di qualche centinaia di migliaia di albanesi non porterà certo allo scoppio di una guerra mondiale". Il progetto, per il quale erano già stati presi precisi accordi con la Turchia, che avrebbe dovuto accogliere gran parte degli espulsi, doveva essere messo in atto in cinque anni tra il 1939 e il 1944, ma l'arrivo della Seconda guerra mondiale l'ha impedito.
Sempre in un tale contesto, negli anni '20 il governo jugoslavo ha messo in atto una riforma agraria, che nel caso della Kosova e della Macedonia si è trasformata in una vera e propria colonizzazione, che ha visto la requisizione della terra a molti abitanti locali, per assegnarla a coloni provenienti dalla Serbia. Nell'ambito di tale riforma, 14.000 famiglie serbe si sono trasferite nella Kosova. Il governo di Belgrado, allora come in tempi più recenti, ha avuto difficoltà nel mettere in atto per intero i propri intenti, vista la scarsa disponibilità dei serbi a emigrare in una zona estremamente povera e ostile come la Kosova. Va notato che l'arrivo dei coloni è stato allora osteggiato non solo dalla popolazione albanese della regione, ma anche da quella serba autoctona, vittima anch'essa di requisizioni delle proprie terre.
Subito dopo la Prima guerra mondiale, nel 1918, i principali leader albanesi avevano creato un'organizzazione mirata a promuovere la resistenza agli occupatori, il "Comitato per la Difesa Nazionale della Kosova", detto comunemente "Comitato Kosova". Il Comitato ha organizzato nel corso del decennio successivo un movimento di resistenza coordinando le operazioni delle bande di kacaki, ovvero i briganti locali di nazionalità albanese. Le loro azioni hanno avuto tuttavia scarso successo a causa della spietata repressione serba e dallo scarso appoggio fornito dall'Albania che negli anni '20, con l'arrivo al potere di Re Zog, nei fatti un vassallo di Belgrado, si è trasformato in una persecuzione vera e propria, tanto che il leader del Comitato, Hasan Prishtina, è stato fatto uccidere dal governo di Tirana nel 1933. I leader del Comitato, tutti finiti assassinati tra gli anni '20 e gli anni '30, hanno cercato di intessere rapporti anche a livello internazionale, poco curanti di chi fosse disponibile a sostenere la loro causa, arrivando così a collaborare negli stessi anni con il Comintern e con i servizi segreti fascisti italiani.
4-LA SECONDA GUERRA MONDIALE E L'IMMEDIATO DOPO GUERRA
Nel 1941, un anno e mezzo dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale, le potenze dell'Asse decidono di spartirsi militarmente i territori del regno jugoslavo: avrà inizio così l'occupazione tedesca, italiana e bulgara dei Balcani, che costerà la vita a centinaia di migliaia di persone in tutta la penisola. La Kosova, così come tutta l'Albania e i territori a maggioranza albanese della Macedonia, viene assegnato all'amministrazione fascista italiana, che ne manterrà il controllo fino al 1943, anche se una piccola, ma importante zona, quella mineraria di Trepca, viene assegnata fin dal 1941 alla Germania.
Gli albanesi della Kosova, dopo decenni di repressioni e sfruttamento spietati da parte di Belgrado, accettano con favore il dominio italiano. Roma introduce per la prima volta l'insegnamento in lingua albanese nella regione, ma non consente mai alcuna forma di amministrazione autonoma della Kosova, inviando commissari dall'Albania, colonia italiana già da anni, e sottoponendolo a un'occupazione militare. L'Italia è in quel periodo abile nel giocare sulle divisioni tra serbi e albanesi, consentendo azioni violente contro la popolazione serba, ma spesso prendendo le difese di quest'ultima.
Dopo l'8 settembre 1943 la Germania prende il controllo dell'intero Kosovo e proclama indipendente l'Albania, comprensiva della Kosova e delle zone a maggioranza albanese della Macedonia. Tuttavia anche la Germania mantiene un regime di occupazione militare e non consente alcuna organizzazione autonoma degli albanesi. Sotto i tedeschi riprendono le deportazioni di serbi e montenegrini, per la maggior parte coloni, avviate già dall'Italia nel 1941: le autorità naziste alla fine del 1944 hanno calcolato come pari complessivamente a 40.000 il numero di serbi e montenegrini deportati in Serbia durante la loro occupazione di fatto della Kosova.
A causa della complessa storia passata,nella Kosova il movimento partigiano è sempre stato scarsamente sviluppato. Le scarne organizzazioni del Partito Comunista nella regione erano essenzialmente serbe e gli albanesi che ne hanno fatto parte non hanno mai superato le poche decine, a differenza di quanto avveniva in Albania, dove esisteva un movimento bene organizzato. Oltre ai comunisti, in Kosova operavano anche i cetnici, una formazione nazionalista serba diventata in seguito collaborazionista, e il Balli Kombetar (Fronte Nazionale). Quest'ultimo era una forza nazionalista albanese fondata nel 1942, l'unica nella resistenza con un certo seguito tra la popolazione, di tendenze repubblicane e genericamente di centroùsinistra, ma vicino alle classi possidenti. Nel 1943 vi è stato un incontro tra il Balli Kombetar e un rappresentante del Partito Comunista Jugoslavo, con il quale è stata siglata una dichiarazione comune a favore "della lotta per l'indipendenza dell'Albania e, attraverso l'applicazione del principio dell'autodeterminazione dei popoli, per un'Albania etnica", dichiarazione che verrà tuttavia immediatamente disconosciuta dagli alti gradi della resistenza comunista, con la conseguente apertura di un conflitto esplicito tra le due parti e il progressivo spostamento del Balli Kombetar su posizioni collaborazioniste.
Nei giorni a cavallo tra il 1943 e il 1944, inoltre, si tiene a Bujan una conferenza dei delegati del Partito Comunista Jugoslavo del Kosovo, i quali decidono la creazione di un Consiglio Regionale per l'intero Kosovo e formulano una dichiarazione in cui si dice: "il KosovoùMetohija è un'area a maggioranza albanese che, oggi come sempre in passato desidera unirsi all'Albania. L'unico modo in cui gli albanesi del Kosovo-Metohija possono unirsi all'Albania è attraverso una lotta comune con gli altri popoli della Jugoslavia contro gli occupatori e i loro lacché. Perché l'unico modo in cui è possibile raggiungere la libertà è se tutti i popoli, ivi inclusi gli albanesi, avranno la possibilità di decidere da soli il loro destino con il diritto all'autodeterminazione, ivi incluso quello alla secessione". Il Comitato Centrale del Partito Comunista non gradisce tale formulazione e invia un rappresentante in Kosova per comunicarlo, ma la dichiarazione rimane tuttavia il programma ufficiale del Consiglio Regionale fino alla scacciata dei tedeschi, avvenuta nel novembre del 1944. Nei fatti una decisione in merito ai futuri destini della Kosova e dell'Albania viene rimandata a dopo la liberazione, nel contesto di quella che si prevedeva sarebbe stata la creazione di una federazione balcanica. Il Partito Comunista Jugoslavo, proprio nel contesto di tale progetto di federazione, mantiene in questo periodo un controllo di fatto anche sulla resistenza comunista in Albania.
Immediatamente dopo la cacciata dei nazisti, in Kosova si verifica un primo grave fatto di violenza. Nella regione di Drenica vengono scoperti i corpi di 250 albanesi massacrati da partigiani jugoslavi, come scopre una commissione inviata a verificare quanto accaduto. Le autorità del Partito Comunista, tuttavia, non adottano alcuna misura punitiva e fanno invece fucilare il responsabile della commissione. Si tratta della scintilla che fa scattare una vera e propria insurrezione della popolazione albanese contro le autorità jugoslave, che durerà per buona parte del 1945. La Kosova viene dichiarata "zona militare" e viene messa in atto una spietata repressione che causa la morte di decine di migliaia di albanesi, con episodi particolarmente tragici, come quello avvenuto in Montenegro, dove 1670 civili vengono chiusi in un tunnel e asfissiati con il gas. Le repressioni e i massacri vengono giustificati con la necessità di estirpare gli elementi collaborazionisti, ma nella realtà sono una vera e propria guerra contro la popolazione insorta che rivendicava, tra le altre cose, anche l'unione del la Kosova con l'Albania. La sezione serba del Partito Comunista condanna a quei tempi gli "eccessi" nella repressione, ma non adotta alcuna misura e sui fatti verrà stesa una cortina di silenzio che durerà fino alla fine della Jugoslavia.
Nel luglio del 1945, a insurrezione ormai quasi liquidata, il Partito Comunista Jugoslavo sancisce che la Kosova deve rimanere nella Serbia, come regione priva di diritti amministrativi autonomi. Inoltre, la nuova costituzione non riconosce tra le nazionalità costituenti della Jugoslavia quella albanese. Nel tentativo di guadagnarsi qualche favore presso la popolazione albanese le autorità decidono di vietare il rientro in Kosova ai circa 50.000 serbi che ne erano stati scacciati durante la guerra e non applicano contro gli albanesi le misure di punizione delle "responsabilità collettive dei popoli collaborazionisti", messe in atto invece con deportazioni massicce contro tedeschi, ungheresi e italiani.

****continua

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